Viaggio a Firenze, 1830 – 17

Firenze, 15 settembre 1830 (mercoledì ) quarta parte

Nella Tribuna ci sono le due Veneri di Tiziano e il quadro rappresentante la Vergine che adora il Figlio, opera del Correggio, come pure una Madonna di Andrea del Sarto, Erodiade di Luini, la Sibilla e l’Endimione del Guercino, una Sacra Famiglia di Michelangelo (il Tondo Doni) l’un l’altro gareggiano in merito. 

Perché poi non ci si possa uscire che a malincuore, c’è, in mezzo a quattro gruppi di statue greche, quella meravigliosissima Venere Medicea, che farebbe innamorare un anacoreta e che fa impazzire e quanti pittori e scultori la mirano. Io vi sono a quest’ora stato tre volte e vi ho trovate, pressappoco, sempre le stesse persone e negli stessi luoghi.

Oltre al prodigio proprio di questa statua, cioè quello di esser parlante, ha quello di far parlare gli Inglesi, i quali sogliono ammutolire per lo stupore quando vengono in questo luogo e, dopo esser restati muti qualche tempo, esclamano: beautyfull

Io ho occupato molto tempo o, per meglio dire, mattine intere, prima di percorrere i corridoi delle gallerie, ma così non posso fare nel darvene ragguaglio1, perché ci vorrebbe un foglio di due piedi quadrati. Passiamo dal Gabinetto delle pietre preziose a quello dei Bronzi e quivi ho veduto il volante Mercurio del Giambologna, ma non possiamo che appena gettare uno sguardo sulle belle copie dei marmi greci fatte da altri celebri scultori Toscani.

È bello anche il museo di arredi antichi, quello dei vasi; è sorprendente la sala, dove sono i più begli Atleti e Gladiatori dell’antichità; è bello il Laocoonte, copiato da Baccio Bandinelli, i bassorilievi antichi e moderni, ma più non si distingue il bello, quando tutto ciò che si vede è bello. 

Passare in mezzo ad una doppia fila di statue e busti antichi, senza lustrarsi gli occhi, come diciamo noi, è impossibile. 

Così pure mi accade, dopo avere bene esaminati i quadri dei corridoi: le sale delle differenti scuole allettano, ma non possono più recar meraviglia, perché gli occhi e la mente, preso un abito2, non sviato per mancamenti o differenze, già scorgono, su tutto, quel marchio di perfezione, che di un solo colore veste tutte le cose. 

Capisco che, se io fossi competente in pittura più di quello che mi fa il solo buon senso, avrei trovato un pascolo più ghiotto e un piacere crescente. Queste contemplazioni del vero bello mi hanno inspirato maggior reverenza e amore alle belle arti e così, parlando di Firenze, non parrò al tutto rozzo.

La voce degli scrittori stranieri

«A Parigi, non appena si decide di intraprendere il viaggio… bisognerebbe imporsi la regola di andare al Museo un giorno sì e un giorno no; si abituerebbe il proprio animo alla sensazione del bello». (Stendhal, Passeggiate Romane)

«È uno dei principi fondamentali del viaggio in Italia: bisogna vedere, all’andata, molte cose che al ritorno indurrebbero a far spallucce». (Stendhal, Piccola guida al viaggio in Italia)

Il fatal dono della bellezza: la Venere Medicea

La Venere dei Medici, celebre statua greca, fu considerata per secoli un simbolo di perfezione e bellezza.

Piacque molto anche a Napoleone, che l’aveva vista nel 1796: da quel momento in poi le vicende della Venere Medicea diventano degne di un romanzo.

Il coraggioso e determinato direttore degli Uffizi, Tommaso Puccini (1749-1811), che si aspettava il ritorno dei francesi e temeva gli espropri conseguenti, riempì decine di casse con opere d’arte: tra queste c’era la Venere dei Medici.

Le casse, portate a Livorno «di notte e senza strepito», vennero imbarcate su una nave che, protetta da navi inglesi, giunse a Palermo a fine ottobre del 1800. Vennero scaricate e messe in deposito nel Monastero dei Gesuiti di Palermo.

Ma Napoleone aveva ottima memoria e non era abituato ai rifiuti.

Da quel momento in poi le pressioni sul governo napoletano, i velati insulti, i non velati ricatti, le dispute da azzeccagarbugli, furono continue: Tommaso Puccini difendeva le opere d’arte e palesemente pativa le pene dell’inferno.

«Ogni quindici giorni vado a fare una visita con il depositario alla mia bella, che prima di passarla in altre mani ho direi quasi infibulata, per assicurami quanto è possibile della sua fedeltà». (C. Pasquinelli, Il Carro del Vincitore)

Alla fine, tra imbrogli e pressioni, assente Puccini, l’11 settembre 1802 la Venere fu imbarcata su una nave francese e portata a Marsiglia, per poi arrivare al Museo del Louvre (allora Museo Napoleone). Liriche le manifestazioni di giubilo del direttore del Louvre, quando comunica a Napoleone l’arrivo della Venere il 14 luglio 1803: «La Venere è infine arrivata! … Non c’è mai stato un trofeo di vittoria più bello!»

Tommaso Puccini, con le altre opere d’arte, tornò a Firenze nel 1803. Tenne vuoto il piedistallo, su cui avrebbe dovuto essere la Venere Medicea, e a chi gliene domandava la ragione rispondeva: «La Venere è andata a fare un viaggio a Parigi, ma presto farà qui ritorno, perché l’aria della Senna non le si confà».(Monumenti del giardino Puccini, p. 384)

La Venere dei Medici rimase al Louvre fino alla caduta di Napoleone.

Nel 1815 il pittore Pietro Benvenuti e il nuovo direttore degli Uffizi, Giovanni Degli Alessandri, si recarono a Parigi per recuperare le opere d’arte toscane. A questo punto le parti si erano rovesciate ed era il direttore del Louvre che cercava di opporsi.

Alla fine, tra molta confusione e molte discussioni, il 25 settembre 1815, con la protezione dei soldati inglesi e con l’aiuto dei soldati prussiani, gli inviati toscani recuperarono, insieme a molte altre opere d’arte, la Venere, che tornò a Firenze. Come nota di folclore, nel frattempo gli scalpellini cancellavano in tutta Parigi le N napoleoniche che erano su innumerevoli monumenti e statue.

A Firenze vi furono grandi feste per il ritorno dei capolavori, nel febbraio del 1816 l’esposizione al pubblico ebbe un’incredibile successo: vi partecipò una vera folla, tanto che la mostra dovette essere prolungata per molti giorni.

Questa storia travagliata lasciò un’eredità importante e positiva: il sentimento che le opere d’arte sono un patrimonio nazionale, un patrimonio di tutti.

«… carriera esemplare di un funzionario di straordinaria levatura morale». (Ettore Spalletti, in Tommaso Puccini 1811-2011, p.125)

Iscrizione a Tommaso Puccini3:
Tommaso Puccini
Per altezza d’animo
Più agli antichi che ai moderni s’assomigliò;
Direttore del Museo fiorentino
Il difese a viso aperto da straniera militare rapacità;
Con ardita fuga in Sicilia
Ne custodì il meglio alla Patria... 
(Pietro Contrucci)

Siti di libera consultazione

Google arts and culture:

La Galleria degli Uffizi

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  • Note
  • 1- nel darvene ragguaglio: nell’informarvi.
  • 2- preso un abito: abituati.
  • 3- sotto la voce “carattere degli italiani” possiamo mettere felicemente anche Tommaso Puccini. È un bell’esempio.
  • G. Coco, C. Francini, E. Sartori (a cura di), Firenze 1815. Il ritorno di Venere, Firenze, Edifir, 2018.
  • F. Fantozzi, Nuova guida ovvero Descrizione storico- artistico-critica della città e contorni di Firenze, Firenze, Ducci, 1847
  • P. Contrucci, Monumenti del Giardino Puccini, Pistoia, Tipografia Cino, 1845, pp. 377-385.
  • G.B. Niccolini, Elogio di Tommaso Puccini in Opere edite ed inedite, tomo VII, Milano, Guigoni, 1870, p.31-35.
  • C. Pasquinelli, Il carro del vincitore, s.l., Edizioni Accademiche Italiane, 2013 ISBN:9783639691375
  • C. Pasquinelli, I furti d’arte in Toscana, Livorno, Debatte Editore, 2005.
  • Stendhal, Oeuvres complètes, Arvensa Èdition, ISBN: 9782368412220
  • Stendhal, Passeggiate romane, Milano, Feltrinelli, 2019. ISBN: 9788858836491
  • Stendhal, Piccola guida per il viaggio in Italia (1828), a cura di A. Bottacin, Milano, Tempo libero, 2012. ISBN: 9788886314954 
  • Ettore Spalletti, Dopo Palermo: servitore dello Stato sotto due regni, in Tommaso Puccini 1811-2011. Nel bicentenario della morte, a cura di Elena Testaferrata, Pistoia, Settegioni, 2015, pp. 113-125.
  • A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, tomo quarto, Firenze, Luigi Molini, 1852, p.125.
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