Viaggio a Firenze, 1830 – 4

Bologna, 4 settembre 1830 (sabato)

In poco più di 3 ore ho fatto il mio viaggio da Modena a Bologna (37 km) senza alcun incomodo di dogana1 o disagio di tempo. 

Bologna

Questa città mi ha confusa la testa. La frequente popolazione, la varietà dei fabbricati, il linguaggio e, quel che è ancor peggio, la moneta, hanno fatto di me un automa. 

Ho ammirato il Nettuno del Giambologna, la piazza, molti bei palazzi di elegante e squisita architettura.

Sono stato all’Istituto2 per vedere Giuseppe Mezzofanti3, ma non era in casa, domani però vi ritornerò. Anche il conte Carlo Pepoli non ho ancora veduto, benché sia stato più volte a casa sua. 

Dopo pranzo andrò alla Certosa e a San Luca. La situazione di Bologna m’incanta e vorrei poterci stare più di quello che potrò. 

In seguito vi darò contezza delle cose, che mi accingo a vedere, ora vi voglio parlare della mia salute. Dacché ho lasciato Verona non ho sentito nemmeno l’ombra di un male di capo e ho un appetito straordinario. Dormo bene e sebben poco, per le combinazioni del viaggio, ciò non di meno non ne soffro. 

Sino ad ora, quanto all’economia, sono contento, ma trovo, però, che il valore delle monete dà un qualche svantaggio, malgrado abbia preso meco dei napoleoni4 d’oro, che è la valuta migliore per il viaggio. 

Sono assediato dai vetturali fiorentini, i quali mi vorrebbero amabilmente gabbare, ma non sanno trovarne il verso. 

A quanto pare, lunedì, per tempissimo, partirò per Firenze, per esservi martedì sera, perché mercoledì è festa5 e non amo viaggiare. 

Il mio compagno è sempre lo stesso, i bajoc e i bagaron6 lo occupano molto; egli ha continuato a far calcoli per molte ore e finalmente mi disse che 10 bajocchi fanno 1 paolo. Ciò che gli dà pena è che 1 bajocco faccia 5 centesimi e mezzo, perché non c’è moneta che corrisponda a quel mezzo centesimo. 

Io la faccio alla grande, ma me ne intendo poco più di lui, peraltro, a conti fatti, non mi hanno ancora messo nel sacco. 

L’Ottolini si è scandalizzato che il Nettuno sia tutto scoperto, cosa che gli pare inonesta, e per dire il vero non ha tutti i torti, perché fa sì che qualunque ragazza abbia ad arrossire nel vederlo. 

La Fontana del Nettuno

A Bologna, però, di queste ragazze ve ne devono essere poche, a quanto mi pare: qui vi è tutto l’emporio della virtuosa canaglia e mi avviene spesso di veder facce da me conosciute. 

Alloggio all’Aquila nera al secondo piano con una camera sulla strada Maggiore, pagando un franco e mezzo, e pranzo dal cuoco di casa Filicori, per 2 paoli (circa 1 franco francese) assai bene.

Il viaggio e le dogane

La distanza tra Modena e Bologna era considerata di poste 3, con sosta a Samoggia. Lungo la strada si attraversava un bellissimo ponte a Sant’Ambrogio.

Il vecchio ponte sul Panaro prima della II guerra mondiale

Il confine tra il Ducato di Modena e gli Stati Pontifici era a Samoggia (quindi passaporto, dogana e conseguente tassa d’ingresso), e infine si arrivava a Bologna.

Giacomo Mosconi riferisce sempre il passaggio di una dogana, scrivendo anche di non aver avuto problemi. Non tutti erano così fortunati: nel 1845, John Ruskin, celebre intellettuale e critico d’arte inglese, scrive, furibondo, che tra Bologna e Modena si è dovuto fermare cinque volte e pagare altrettante gabelle, più il pedaggio di un ponte:

«Il doganiere modenese non s’è raddolcito per meno di 5 paoli, e l’ufficiale pontificio di Bologna ci ha assicurati che era contrario alla sua coscienza risparmiare a qualcuno la perquisizione per meno di 1 piastra».7

La voce degli scrittori stranieri

Per secoli l’Italia è stata visitata, ammirata, criticata da infiniti turisti stranieri. Alcuni grandi scrittori vi hanno soggiornato a lungo e descrivono non solo i luoghi, ma anche la popolazione, gli usi, la mentalità, perfino la lingua.

Lord Byron descrive le impressioni di un inglese nel suo poema “Beppo”:

“Io amo la lingua, quel morbido latino bastardo, che si scioglie come i baci di una donna, che suona come se fosse scritto sul raso, con sillabe che respirano il dolce Sud

Io amo anche le donne (scusate la mia impertinenza), con le abbronzate guance di contadina e i grandi occhi neri che, con uno sguardo, ti dicono tutto in un istante; il viso chiaro delle dame, più pensieroso, con il cuore sulle labbra, e l’anima negli occhi, dolce come il clima e pieno di sole come il cielo”. (George G. Byron, Beppo, A Venetian Story)

Per i lettori curiosi

Le monete, circolanti nell’Ottocento, erano moltissime: quando veniva coniata una nuova moneta (con un altro valore e con un altro modo di dividerla) rimanevano valide anche le vecchie monete.

In Italia, nel 1861, circolavano 282 tipi di monete metalliche. (vd. La babele delle monete, in «La moneta dell’Italia unita», Banca d’Italia, 2011). Non eravamo gli unici: nel 1848, nella Confederazione Elvetica, le monete circolanti erano 860 (Banca d’Italia, cronologia del 1848).

La moneta di Bologna era il baiocco: 1 scudo o piastra valeva 100 baiocchi (5,38 franchi), 1 paolo bolognese valeva 10 bajocchi (0,54 franchi), un baiocco valeva 5 centesimi di franco.

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  • Note
  • 1- seconda dogana.
  • 2- Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna.
  • 3- Giuseppe Mezzofanti (1774-1849) celebre poliglotta. Era direttore della biblioteca dell’Università. Ha 56 anni. 
  • 4- 1 napoleone (o marengo) valeva 20 franchi.
  • 5- 8 settembre, Nascita della Beata Vergine.
  • 6- bagherone, moneta bolognese di rame. Valeva mezzo bajocco.
  • 7- Attilio Brilli, In viaggio con Leopardi, Bologna, il Mulino, 2000.

Bibliografia

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